La Regina di Pomerania” di Andrea Camilleri ci porta in un viaggio letterario unico, lontano dai labirinti siciliani che l’autore ci ha abituato a percorrere.
Una Sinossi Accattivante
Entriamo nella trama senza rivelare troppo. “La Regina di Pomerania” è molto più di una semplice storia. È un viaggio tra le pagine, un’esperienza che cattura i lettori dalla prima frase. Un aspetto chiave di ogni opera letteraria è la sua capacità di dar vita ai personaggi.
Balli in maschera e presepi viventi, contrabbando di volpini e commerci di salgemma, testamenti con azzardati codicilli e matrimoni che non si possono fare, fuitine maldestre, sfide tra gourmet del gelato. Otto storie inedite di Camilleri, otto racconti perfetti che, come sempre, riescono a stupire, commuovere, emozionare, far ridere.
Un libro non è solo intrattenimento; può plasmare la cultura e influenzare il pensiero.
Si vuole che il racconto abbia la geometria di un sonetto, con una trama rigorosamente distesa su una tavola metrica “baciata” alla fine da un’arguzia, che può essere sì un colpo di scena, ma entro la prevedibilità di una catena di cause e di concause.
Diversa è la meccanica dell’immaginazione che Camilleri sceglie. Lui è un orologiaio fantastico. Carica le molle, e decide che siano inavvertitamente scombinate: in modo che l’ora segnata suoni inattesa e fragorosa, come un refuso del destino, uno schianto che si prende la rivincita sui normali procedimenti di scioglimento, mentre rende la storia che si racconta asimmetrica ai desideri e alle attese degli stessi protagonisti.
Di siffatta specie sono gli otto racconti vigatesi qui raccolti, ognuno dei quali apre lo sguardo sui casi quotidiani di una provincia che vive a rate le balzanerie e le strampalatezze di una società sedotta dalle proprie furbizie e dalle sue stesse ciance: tra battibecchi da circolo, lambiccati bizantinismi, ludi e motteggi, eterne liti familiari, infervoramenti carnali, sbatacchiamenti, oneste mignotterie, dolorosi stupori e premurose cordialità.
Non c’è ordine cronologico nella successione dei racconti. Ognuno di essi è però un bordo d’inquadratura che prende d’infilata la scena larga di Vigàta di volta in volta bloccata nei mesi e negli anni di pertinenza, lungo un arco che va dal 1893 al 1950.
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